Shinya Sakurai, nato ad Hiroshima nel 1981, vive e lavora tra Torino e Tokyo.
Sakurai nasce a Hiroshima e questo, come più volte evidenziato dalla critica, è una sorta di imprinting, un marchio di dolore nella carne che mai si esaurirà, di generazione in generazione. Da giapponese poi, se pur giovane, ha connaturata la saggezza orientale e tutto il metodo di una costruzione del reale che avviene lenta e a capo chino nel rispetto del Tempo. Esistono in giapponese varie parole per indicare il tempo: ad esempio aida è il mentre, il periodo in cui viene svolta un’azione, la retta che congiunge partenza e arrivo, jikan è l’orario, il momento puntuale, forse l’attimo… Non essendo esperta in lingue orientali non mi permetto di dissertare sulla differenza semantica, complicata dal sistema dei kanji/ideogrammi, ma chiaramente l’esistenza di vari termini lascia intravedere una più complessa concezione del tempo, così come fu per i greci.
La lingua greca distingueva infatti tra chronos il tempo nella storia, quello degli uomini, l’oggi e il domani, l’aion le ere che ciclicamente si ripresentano e kairos l’imprevisto, il deus ex machina, la svolta improvvisa, quello sliding doors che tutto può cambiare in un istante. Il pragmatismo latino ci ha lasciato in eredità un più asciutto tempus.