Enzo Esposito nasce a Benevento nel 1946, dal 1980 vive e lavora a Milano
Caratterizzato da un linguaggio che si fonda sulla vigorosa forza espressiva del colore, che si lega saldamente alla qualità segnica del suo gesto, Enzo Esposito si presenta agli occhi del pubblico proprio per il carattere dell’intensità, luminosa e sensibile, del suo fare.
Enzo Esposito dice del suo lavoro: “La prima tappa importante del mio percorso artistico ritengo sia stata la mostra nel 1970 alla Galleria Oggetto di Caserta, diretta da Enzo Cannaviello. L’idea era quella di usare materiali e linguaggi extra artistici, dove anche il più insignificante frammento o residuo pittorico veniva messo al bando, come pratica ormai superata. Elaboravo oggetti di estremo rigore formale che rimandavano alla tecnologia medica: bisturi alati, ovatta, boccette sigillate…che denunciavano una destinazione concettuale al corpo e alla crudeltà, freddi e altamente de – notativi. Nel senso che ogni dettaglio, sia che fosse formale o che riguardasse la scelta dei materiali, oltre a non denunciare nessuna funzione estetica, era esclusivamente mirato ad elaborare una tensione emotiva. Dunque un lavoro sul segno che non dà spazio a possibili divagazioni interpretative. Dal ‘73 c’è stata la fotografia: una foto documento, priva di ombre, piatta, che si limitava solo a citare l’oggetto, che nel mio caso era il corpo. Così sino al ‘76, con le mostre alla Galleria Trisorio a Napoli e da Schema a Firenze.
In un secondo momento, la foto si irrobustiva di ombre e di luci perdendo sempre più il riferimento con il reale: vanno, forse, ricercate in questo spostamento le prime avvisaglie della “crisi” del ‘77, anno in cui inizia a crollare la fiducia verso un’impostazione teoretica e formalizzante dell’arte. Avvenimenti e situazioni concorrevano a rafforzare quest’idea, per esempio lo stanco accademismo del concettuale ridotto a pura formula estetica; il consumismo che omologava e svuotava di valore ogni cosa; la caduta delle ideologie; l’idea dell’arte come progetto… Posso dire che dal ‘77 ad oggi ci sia stata una sorta di continuità nel ripensare al testo pittorico come elemento che possa giocare un ruolo diverso. Si pensava al recupero del testo pittorico, come si diceva, perché la “pittura” conquista la sua autonomia più avanti. Allora pensavo al frammento pittorico che si coniugava con un sistema di relazioni ambientali, perché solo in questo modo il “pittorico” poteva assumere nuovi ed imprevedibili aspetti.”