Stefano Di Stasio è l’artista che, tra i pionieri del ritorno alla pittura a cavallo degli anni ’70 e ’80, fu,
in particolare, uno dei primi a proporre un’arte radicalmente in antitesi con l’azzeramento operato
dalle ultime neo-avanguardie degli anni ’70.
Spinto da una rinnovata esigenza di immagine e dal desiderio che dell’immagine si faccia carico
“di nuovo” la pittura, Di Stasio, a partire dal 1978, anno in cui, nel contesto di due mostre personali
a carattere di installazione il pittore realizza inaspettatamente due autoritratti ad olio su tela dal
provocatorio aspetto “antico” ( provocatorio sopratutto per l’epoca ), e tralasciando ormai ogni
elemento espositivo che non sia il solo quadro, a seguito di quel primo “gesto” scandaloso, diviene
artefice di un’arte visionaria che, pur riproducendo i dati visibili del mondo, resi nel modo di un realismo
narrativo che si richiama al sapiente mestiere della pittura del passato, tende ad abitare una
dimensione lontana dal tempo della cronaca in cui, attraverso il racconto pittorico, gli uomini e le
cose della realtà perdono il loro nesso logico, assumendo l’aspetto enigmatico del simbolo.
I protagonisti dei suoi quadri divengono così attori di trame sconosciute.
E’ proprio una strana incertezza semantica ad ispirare la pittura di Di Stasio. L’autore stesso vuole
essere soltanto un trasmettitore di pure immagini, il cui significato sfugge alla propria coscienza.
In un testo degli anni ’80 Di Stasio infatti scriveva : “considero la pittura come pensiero PER immagini,
non pensiero che USA immagini”. Vale a dire che nel pittore c’è una necessità di lasciarsi
andare alla potenza evocativa dell’immagine stessa, così come si presenta alla mente prima che la
ragione intervenga a cercare nessi logici, sempre riduttivi rispetto a quel sentire intuitivo proprio
dell’arte, della poesia, della musica, quel sentire la cui “inattualità” viene rivendicata da Di Stasio
come punto di forza dell’essere artista oggi.
Stefano Di Stasio
Una riappropriazione della pittura, quindi, intesa come visione, lontana sia dalla tradizione meramente
naturalistica sia, all’opposto, da quella idea di “citazione” cui la critica volle ricondurre sbrigativamente
anche la pittura di Di Stasio. Non si trattava di “citare” elementi figurativi del passato,
pratica fredda, impersonale e tutta mentale, estranea al pulsare immaginativo dell’artista, ma
semmai si trattò di ri-guardare al museo e riaprire il cuore alla magia che la pittura dei secoli passati
tornava ad esercitare su chi, come l’artista, cercava nuove strade da percorrere per uscire dal
manierismo in cui l’arte, che fu un tempo di avanguardia, si era ormai spenta.
Infatti, laddove il riferimento alla pittura del museo è più evidente, sopratutto nei primi anni ’80, in
Di Stasio tale riferimento non è mai fine a se stesso, ma conseguente al nuovo amore per la pittura
che lo ha portato necessariamente a riguardare i maestri del passato, non per citare, appunto, ma
per “ritemprare le armi”, le tecniche, i materiali della tradizione.
Dai primi quadri dell’ inizio degli anni ’80, in cui la ritrovata pittura mostra con più evidenza la
fascinazione del “museo”, si sviluppa nel tempo l’immaginazione dell’artista, sempre meno condizionata
dal passato, ma operante, nel culto quasi sacro del “qui ed ora” del mezzo pittorico, a trasferire
in immagini l’incessante lavorio dell’intuizione, della visione.
I quadri divengono teatri di avvenimenti enigmatici, dove ad elementi della più umile quotidianeità
si associano figure e spazi che parlano come di un’altra dimensione, rebus di una mitologia personale,
indecifrabile.
Un linguaggio figurativo, che dalla grande arte del passato sembra aver succhiato linfa vitale come
potenziamento dei mezzi espressivi: un tuffo nella storia, quindi, ma per prendere il volo al di sopra
e contro di essa; per ridare “ hic et nunc” tutta la possibilità incantatoria e di opzione totale all’arte
della pittura.
L’ opera di Di Stasio è una forma di “resistenza” di fronte al declassamento del valore “arte”; e
sembra riscattare, di questa, tutta la carica utopica per ristabilire le distanze dall’attualità disincantata
del mondo.